Il sogno urbanistico di Tange si è infranto su malavita e abusivismo. Piano e il suo team ridisegnano l'area
di Stefano Brusadelli
(pubblicato su Il Sole 24 Ore di domenica 20 settembre 2015)
Librino, a Catania, è forse ancor più del famigerato Corviale di Roma (quello del “serpentone” di un chilometro) la dimostrazione di quanto rapidamente si siano disfatti i grandi sogni di bellezza, o almeno di vivibilità, concepiti negli anni ‘70 per le periferie italiane. Qui, a sud-ovest di Catania (il più grande centro non capoluogo di regione del Paese), esistevano tutte le premesse per un'operazione felice: un piano firmato da Kenzo Tange, allora il più celebrato architetto del mondo, i soldi pubblici, la presenza dell'Italstat. Fu, invece, un disastro. L'area scelta per la nuova «città giardino» è inquinata acusticamente dall'aeroporto; e in breve fu devastata dall'abusivismo edilizio senza che le stesse autorità che pure avevano voluto il progetto di Tange muovessero un dito per impedirlo. Oggi, la new town dei desideri è un agglomerato di casermoni giganteschi e di verde incolto dove vivono ottantamila persone, più degli abitanti di Agrigento, Trapani, Enna, Caltanissetta, o Ragusa. L'edificio simbolo del quartiere, il «Palazzo di cemento», è una roccaforte di spaccio e malavita. Un inferno urbano che però, da qualche anno, è diventato una delle frontiere della volontà di resurrezione di Catania, e della Sicilia tutta. Dapprima, nel 2009, con l'inaugurazione della Porta della bellezza, la più grande opera di terracotta al mondo, donata dalla Fondazione Presti e realizzata da duemila bambini delle scuole; e poi con uno (forse il più complesso e riuscito) degli interventi effettuati da Renzo Piano e dal suo team G124. «Lavorando a Librino, e parlando con gli abitanti», racconta l'architetto Mario Cucinella, il tutor dell'operazione, «ho potuto capire molte cose in più delle periferie. Anzitutto che è fuorviante l'approccio di chi, venendo da fuori, assume un atteggiamento pietistico e ritiene di dover interpretare il disagio dei residenti soprattutto nella chiave della bruttezza estetica. Anche in luoghi come questi esiste un orgoglio di appartenenza, e la bruttura non viene avvertita come una vera criticità; si può dire che in qualche modo essa è stata metabolizzata, ormai fa parte della vita di ognuno essendone diventata lo sfondo. Le richieste sono altre, non “estetiche”. I giovani vogliono luoghi dove potersi incontrare e fare sport, le mamme vogliono spazi verdi non recintati per far giocare i bambini, i pensionati vogliono l'illuminazione e gli orti da coltivare». A San Teodoro di Librino, anni fa, una società dilettantistica di rugby, i «Briganti», ha ricavato un campo da gioco da un terreno incolto e ha occupato una palestra costruita per le Universiadi del '97 e poi rimasta inutilizzata. Intorno si sono dispiegati gli interventi del G124, in collaborazione con forze locali (Ance, Confindustria, Confagricoltura, Accademia Abadir, Tecnis, e ovviamente i «Briganti»), tutti effettuati nella logica del piccolo miglioramento, e della connessione. Dinanzi alla club house del complesso sportivo è stato coperto un pergolato che è diventato (tratto tipico dell'approccio di Piano) il polo di aggregazione che mancava. Un appezzamento di orti «sociali» è stato dotato di irrigazione e illuminazione, e sono stati aggiunti orti didattici per i bambini. E’ stata predisposta un'area di parcheggio, poi messa in sicurezza con un terrapieno. Il nuovo percorso pedonale di 250 metri che collega la palestra, gli orti e il vicino istituto «Vitaliano Brancati»si è trasformato nel più grande parco d'Italia attrezzato per praticare «giochi di strada». E il tutto con l'appoggio (convinto) del Comune. «L'idea seguita a Librino» racconta l'architetto Roberto Corbia che ha seguito i lavori insieme alla collega Roberta Pastore, «andava però al di là degli interventi materiali. Abbiamo cercato di portare Catania, intesa come i suoi soggetti politici e produttivi, a riscoprire l'esistenza di questa sua immensa periferia, un posto dove i catanesi hanno paura a mettere piede e dove i residenti, se gli chiedi di identificarsi, rispondono “sono di Librino” e non già “sono catanese"». Qui, ancor più a Roma e a Torino, il "rammendo" è stato sociale e politico, prima che architettonico. Lo spiega anche Carlo Collòca, docente di Sociologia urbana all'Università di Catania e consulente di Piano. «Quello che ci premeva era anzitutto far dialogare tra loro le varie anime del quartiere. Per la prima volta, ad esempio, i giovani rugbysti si sono confrontati con i genitori degli studenti della Brancati. Non è una banalità. Gli abitanti di Librino hanno instaurato con l'amministrazione comunale e con le organizzazioni economiche un rapporto di collaborazione, fondato su una reciproca responsabilità: ora tocca a tutti i catanesi custodire quello che è stato fatto. E nemmeno questa è una banalità, vista la mentalità rivendicazionista purtroppo ancora diffusa in gran parte del Meridione». I risultati sono più che incoraggianti. I bambini della zona hanno scelto il "percorso dei giochi” come il loro luogo di ritrovo, e Collòca si è impegnato a organizzarvi “trasferte” ludiche, in modo che anche i giovanissimi del resto di Catania possano conoscere Librino. Gli orti, che un anno fa erano una decina, sono già diventati una cinquantina. L'amministrazione municipale guidata da Enzo Bianco ha dato un segnale importante aprendo a Librino un istituto scolastico professionale (prima ci si fermava alle medie), e istituendo mettendo una nuova linea di collegamento con il centro, la «Librino express». «E’ inutile» dice Cucinella, «pretendere di progettare risanamenti della periferia senza prima entrare in empatia con chi ci vive. Le persone vanno messe al centro della pianificazione, non le cubature. La stessa violenza che qui esiste, innegabilmente, è spesso una protesta per la mancanza d'attenzione, di ascolto, e per le troppe promesse fatte e mai mantenute. Ora speriamo nel futuro».